giovedì 29 maggio 2008

4 giorni a Bucarest

Ce lo chiedevano tutti come mai avevamo scelto l’Europa dell’Est, e tra le tante nazioni, proprio la Romania. Ce lo chiedevano tutti soprattutto perché nemmeno la capitale sembrava avere qualsiasi attrattiva, e alla città di Bucharest si legavano solo due parole: sesso e pericolo.

Ce lo chiedevano tutti, e noi rispondevamo con la stessa leggerezza con la quale avevamo scelto la destinazione, un po’ per il desiderio soprattutto di Ezio di andare ad est, e un po’ per il mio di vedere un posto nuovo senza spendere troppi soldi. Due ragioni. Quattro giorni. Una nuova nazione.

Giorno 1: 1 maggio 2008

Il popolo dei lavoratori

Della Romania sappiamo poche cose, tutte sentite dire, o assimilate indirettamente attraverso i nostri mezzi di comunicazione di massa. Sappiamo che noi, una volta emigranti, siamo passati dalla parte dei forti e che i Romeni sono i nostri schiavi, coloro che costruiscono case in Lombardia di giorno, che dormono per strada di notte, e che muoiono sui cantieri. Le loro donne sono passate a decine per le case dei nostri vecchi, vessate e sottopagate, passeggiano sui marciapiedi delle città o puliscono i nostri uffici. Sappiamo che la Romania è la nazione dalla quale provengono i Rom, un popolo zingaro odiatissimo dai nostri connazionali, e soprattutto dai Fiorentini, gli unici che hanno una legge contro i lavavetri zingari. Ah, anche la leggenda di Dracula è romena!

Io non so bene cosa pensare della Romania, ho un po’ paura, ma mi riprometto di non farmi condizionare da queste povere premesse e di intraprendere il viaggio in maniera aperta.

La partenza è ovviamente LOW COST, e ci sveglia a Firenze alle 3 di notte, per vederci in marcia verso Roma Ciampino. Ezio non si lava da due giorni, tanto oggi deve viaggiare e il risultato è che gli puzzeranno le ascelle comunque, quindi, perché sprecare energie? (Questa sua filosofia tornerà nel corso del viaggio). Una volta arrivati alla prima destinazione, “abbandoniamo” la macchina lungo una strada di campagna nei pressi dell’aeroporto, semplicemente “sperando” di ritrovarla al nostro ritorno. Il sole sta appena sorgendo, l’aria è fresca, e la fila di auto che ci hanno preceduto offre uno spettacolo pittoresco e inquietante: auto senza gomme lasciate su mattoni, auto tappezzate da pubblicità di sexy show stampate in casa, ma anche fiori di campo che si insinuano nei parafanghi…questa gente parte e non torna più?

Dopo i passaggi di rito, mettiamo in pratica la strategia di viaggio “HAPPY” (appena battezzata così in onore del suo inventore), che consiste nel non precipitarsi a fare la fila appena la voce chiama per l’imbarco, ma nell’aspettare seduti che la fila scorra fino alla fine, per poi comodamente presentare i propri boarding pass, ed entrare per ultimi nel bus interno all’aeroporto. In questo modo non solo si è felici perché non si è atteso invano in piedi, ma spesso si ha la fortuna di scendere per primi dal bus scegliendo i posti migliori!

A me questa filosofia piace molto anche perché piuttosto che arrovellarmi su quanto tempo devo stare lì in piedi, posso osservare la gente. E già siamo in terra straniera, lingua scricchiolante e incomprensibile, facce pallide e occhi chiari, abiti molto sportivi, tute e jeans, e uomini dalle grandi mani e dai folti antichi baffi che tornano a casa per il ponte, vivi.

L’arrivo in Romania è abbastanza rilevante. Appena messo piede nell’aeroporto di Boneasa ci accoglie una colonna sonora molto tipica: Toto Cutugno che canta “Soli”. C’è un filo diretto Italia-Romania che viene fuori non solo dalla musica (sentiremo anche Eros Ramazzotti), ma anche dai collegamenti aerei visibili in questo aeroporto: Berlino, Londra, Barcellona, e poi Venezia, Trieste, Roma, Pisa…città italiane, più che altre. Dei bus per i pendolari, in pratica.

Usciti all’aria aperta si pone il problema di come raggiungere l’albergo, e prendere un taxi è solo apparentemente la scelta più facile. Ho letto su internet che bisogna mettersi d’accordo prima, per evitare che alla fine del tragitto chiedano cifre “turistiche”. Il primo ci chiede 50 euro. Noi ovviamente rifiutiamo e allora subentra un suo collega con una macchina meno importante che si propone per 35. Io offro 20 euro, anche se so che la cifra giusta sarebbe 10, ma non c’è verso, il tassista non molla. Allora, con naturalezza, proviamo la tattica marocchina di girare sui tacchi e andarcene. A quel punto un terzo tassista offre 25, ma siccome oramai con il secondo ci eravamo trovati bene perché parlava italiano, accettiamo la cifra ma mettiamo il veto sull’autista.

Nel tragitto ci indica il giardino botanico e la residenza del presidente, il famoso arco di trionfo, in realtà opera recentissima finita solo nel 1936, è già in ristrutturazione, completamente rivestito dalle impalcature.

Gli chiediamo di suggerirci un ristorante, e lui è il primo dei tanti che in questo viaggio ci nomineranno il famoso “La Mama”, dove trovare i piatti tipici romeni.

Arriviamo in nemmeno 15 minuti all’albergo, che all’apparenza esterna è veramente triste, collocato in una strada spoglia e anonima. All’interno però si rivela come una sorpresa: la stanza è bella e spaziosa, il bagno nuovissimo con doccia a pavimento in mosaico, televisione, figro bar, aria condizionata (e brava Diana, che sicuramente sarà felice di averci prenotato un bel posto!).

Siamo stanchi, ma dopo una doccia siamo troppo curiosi di vedere qualcosa di Bucarest per restare a poltrire in albergo, e individuiamo sulla mappa che ci ha dato la receptionist che siamo vicinissimi alla Casa del Popolo, il secondo palazzo più grande del mondo, e ci incamminiamo.

Abbiamo già cambiato 100 euro in Lei, e ci fermiamo nel primo posto che capita a prendere un frappè. Devo aver capito male, mi sembra che costi davvero poco, cerco di fare la conversione in euro, imposto la conversione sul telefonino, pare che costi solo 0,80 cent. Boh! Non abbiamo ancora capito il cambio, e non so bene quanti Lei abbiamo, ma proseguiamo senza soffermarci troppo sul problema, per il momento.

Arrivati nei pressi del palazzo, veniamo accolti da una musica decisamente locale (finalmente!) e da un odore incredibile di carne arrosto. Il fumo circonda la piazza, che pullula di gente vestita di rosso, che sul petto porta la scritta: PSD. Stefano sospetta si tratti del Partidul Social Democrat, il principale partito di centro sinistra romeno, attualmente all’opposizione, e commenta “qui socialdemocratico si può ancora dire”.

Questo posto è davvero fantastico, comunque, perché pieno di gente di tutte le età, che ballano, scherzano, chiacchierano, e fanno incredibili code per prendere un panino con la salsiccia. Un primo maggio che sembra davvero una festa dei lavoratori! Come non approfittarne? Cerco di sapere di che si tratta, ma nessuno parla inglese. Non importa, ci mischiamo comunque ai locali, senza mimetizzarci visto che Ezio porta uno zaino e io dei giganti occhiali da sole, e ci mettiamo in fila per la salsiccia.

Davanti a noi c’è una coppia giovane, io mi rivolgo a lei, magra, mezza bionda e mezza bruna (ovviamente la ricrescita è bionda!), occhi azzurrissimi, chiedendole se parla inglese. Mi fa segno di no coinvolgendo il suo ragazzo, tracagnotto dal volto bonario. Un po’ a gesti e un po’ in inglese ci spiega che siamo in fila per mangiare i MICI, una salsiccia senza pelle tipica romena, molto difficile da cucinare perché si sbriciola facilmente. Ci spiega che costa poco qui, come la birra. Alcune persone hanno addirittura dei buoni omaggio, probabilmente distribuiti loro al lavoro. La fila durerà almeno un’ora, un tempo sufficiente per fare amicizia con Florin, 23 anni, trasportatore di pane (tutto il pane che è qui lo ha portato lui stamattina!). Guadagna solo 300 euro al mese con il suo lavoro, mentre Georgi ha 19 anni e va ancora a scuola. Non possono permettersi di vivere insieme, ma abitano vicino, e i genitori di lui gli consentono di portarla a casa sua. Florin non ha mai preso l’aereo e non ha mai viaggiato, però l’anno scorso è stato in Italia, a Follonica, facendosi 24 ore di pullman per andare a trovare un amico che lavorava lì. Ma è molto lucido, non ha una visione idilliaca dell’Italia, sa che lì i Romeni sono un popolo sfruttato e odiato, e ci dice che vuole solo andarci in vacanza, e magari portarci Georgi. Quando la fila finisce ci invita a mangiare con loro, ci cerca un posto e sistema il tavolo in modo che alcuni “gypsy” non possano vederci. Ci dice molte cose utili, ad esempio che i taxi costano a km e non a tempo, come in Italia, e il costo qui è in media 1,7 Lei per km. Dall’aeroporto la cifra giusta sarebbe stata dunque 20 euro. Ci parla anche lui di un ristorante, migliore e più economico de “La Mama”, il Pui de Urs (cucciolo d’orso) e ci indica dove trovarlo sulla mappa, appuntando sul nostro taccuino il menù consigliato.

C’è ancora il sole, che precederà, secondo previsioni meteo, tre giorni di assoluto mal tempo, e così quando Florin ci offre di accompagnarci a visitare la città, optiamo per continuare a vivere l’aria aperta, visitando il parco Cismigiu, il più antico giardino di Bucarest, costituito da oltre 30.000 alberi provenienti dalle montagne romene, e da piante esotiche importate dai giardini botanici di Vienna.

Ci accompagna con un portamento orgoglioso, mostrandoci piccoli dettagli che non avremmo notato senza la sua guida. Ho l’impressione che lui ci abbia portato Georgi nei primi mesi della loro conoscenza e che con noi stia silenziosamente rifacendo un percorso affettivo noto.

Sono le sei, e per lui che la mattina si sveglia alle tre è tardi. Anche noi siamo stanchi, e ci salutiamo per tornare in albergo, ma abbiamo appuntamento con la nostra guida il giorno dopo, alla fermata della metro IZVOR, davanti al palazzo. Ci porterà allo zoo. Io, nonostante sia entusiasta della proposta perché non sono mai stata ad uno zoo in vita mia, non ci spero tanto perché so che pioverà.

In albergo Ezio fa una felice scoperta: ci sono un sacco di canali satellitari dove vedere lo sport, quindi in questo viaggio non si annoierà mai, nemmeno in albergo. Lo vedo appassionarsi ad un gioco di biliardo, del quale non capisco il senso, e mi addormento per le successive due ore.

Sono ormai le nove, troppo tardi per andare al Pui de Urs o a La Mama a mangiare, perché sono lontani e non vogliamo rischiare prendendo un taxi. Allora gironzolando nel quartiere troviamo come unica opzione una pasticceria che vende delle sfoglie chiamate “Merdelene”. Più della lingua potè la fame, e nonostante il nome assaggiamo queste squisite sfoglie salate ripiene di formaggio acido. La nostra cena.

Giorno 2: 2 maggio

Benvenuti in Romania

Ci siamo svegliati presto perché vogliamo avere tempo di visitare la Casa del Popolo, prima di vedere Florin e Georgie, con i quali abbiamo appuntamento all’una.

Facendo colazione, Ezio lascia il portafogli sulla sedia. A me la cosa infastidisce, perché, dopo tutte le cose che si sentono sulla Romania, ritengo che il suo gesto possa indurlo a delle abitudini poco prudenti. Naturalmente lui mi dice che sono la solita paranoica, anzi con orgoglio ribadisce “oè, io so ‘e Napule”. Stiamo attenti, dico io, questa frase suona da ultime parole famose…

Usciamo, il tempo è ancora bello e ci siamo vestiti anche un po’ più leggeri. Ezio non indossa il suo giubbottone di pelle consumata, che faceva tanto indigeno, ma controvoglia, costretto da me, tiene la borsina della macchina fotografica nella cintura, secondo lui un vero led segnaletico del nostro status di turisti.

Arrivati a piedi davanti all’entrata del mega palazzo, scopriamo che visitarlo deve essere una vera impresa. Nemmeno mio fratello, 15 giorni fa, aveva avuto l’opportunità di farlo per via della Convention NATO. Noi, invece, abbiamo una spiegazione molto meno ufficiale dalla guardia che era al cancello, che in italiano suona tipo “No, no possibile visitare oggi. Anzi, loro mi hanno detto stai chiuso fino a 5 maggio. Passate domani, possibile forse visitare”.

Quindi, ripieghiamo su una visita fai da te della città. Ezio, cartina in mano, decide di portarmi non so bene a quale piazza. Ci avviamo. Un ragazzo, per strada, ci avverte gentilmente che ci stiamo avvicinando alla zona “zingara” della città, e ci consiglia caldamente di deviare. Allo scoprire che siamo italiani gli si illuminano gli occhi, diventa amico, racconta che addirittura è sposato con una italiana, e che sta per ripartire. Lui è a Bucarest solo di passaggio, è una città molto pericolosa, anche lui che è Transilvano deve stare sempre attento. Per esempio, questa differenza tra Lei e Ron, le due monete locali, nemmeno lui l’aveva capita dall’inizio. “ma scusa, non sono la stessa cosa?” interveniamo noi, confusi. Assolutamente no, i Ron cambiano con l’euro a 3,6; mentre i Lei a 36. Stefano sembra aver capito la manovra economica, e annuisce parlando di moneta pesante, lo hanno fatto anche in Italia. Io invece sudo freddo, e gli chiedo quanti Lei avrebbero dovuto darci ieri in cambio di 100 euro. Lui dice 36000, mentre siamo sicuri ce ne abbiano dati 360. Lui reagisce come se se lo fosse immaginato. Non è difficile cascarci, infatti qui in Romania, se non si cambia in un cambio ufficiale o non si prende dal bancomat con la scritta “G” (Governamentale), ti danno i Lei anziché i Ron! Anche a lui è successo, una volta gli hanno fregato 500 euro! Ci consiglia di riportare la ricevuta al cambio e di farci dare i soldi indietro. Quando gli diciamo che non abbiamo nemmeno la ricevuta perché abbiamo cambiato ad un cambio per strada, ci dice che allora non c’è niente da fare, ma di ritirare nei bancomat con la G. Gli diciamo che non abbiamo bancomat, che il nostro non funziona e l’unico modo è cambiare. Allora, dopo aver sottolineato che Bucarest non è posto per turisti, ci consiglia di andare al “Tourist Park”. Pare sia un posto un po’ fuori mano, perché se gli chiedo di indicarmelo, capita giusto appena fuori dalla nostra cartina. Pare sia una specie di paese dei balocchi, 50 ristoranti, agenzie di cambio fidate, e un information point turistico a cui chiedere tutte le informazioni. Infatti, in questi giorni di festa non viaggeranno nemmeno i taxi di notte, e se vorremmo partire alle 4 di mattina per il ritorno, dovremmo prenotare da lì uno Shuttle Bus che ci viene a prendere direttamente in albergo. Fantastico! E come fare a raggiungerlo? Beh, l’unico modo è prendere un taxi, ma quanti soldi abbiamo? Solo 300 Lei. Beh, sono un po’ pochi, ma può parlare lui con l’autista e convincerlo a portarci lì a quella cifra. Ok. Ci avviamo, e troviamo subito un taxi, dietro l’angolo. Lui parla con il tassista e si mette d’accordo per noi. Poi guarda l’orologio, e decide di accompagnarci. In macchina chiede al tassista di confermarci le cose che lui ci ha raccontato della doppia moneta, dei bancomat che rubano i soldi, del fatto che a Bucarest non vengano turisti, e tutto corrisponde. Che fortuna ad aver incontrato questa brava persona, adesso potremo programmare in sicurezza il resto del nostro viaggio, e magari vedere anche questo posto per turisti, che ancora non ne sono apparsi…

Arrivati nei pressi del giardino botanico, gli chiedo dov’è il parco, lui mi dice “aspetta”, in un tono che mi infastidisce. Arrivati alla residenza del Presidente, che ci consiglia di visitare, fa fermare il taxi davanti ad una lunga cancellata verde, dicendoci che quello è l’ingresso del Tourist Park. Noi gli diamo i nostri soldi, mancano 5 lei, ma non c’è problema, ce li mette lui, lo ringraziamo, e scendiamo.

Bastano poche occhiate intorno, ad una semi-periferia senza l’ombra né di un ingresso, né di un turista per renderci conto che quello è davvero il paese dei balocchi, e noi siamo come pinocchio con delle lunghe orecchie d’asino che ci sono improvvisamente spuntate sopra i capelli. Una vera epifania, ci guardiamo e contemporaneamente ci rendiamo conto che quel tizio ci ha allegramente raggirato.

I ragguagli che chiediamo all’unica persona vagamente affidabile nei paraggi, un poliziotto, servono solo a confermare l’accaduto. Lei e Ron sono solo due nomi per dire la stessa cosa, e traducendo in euro, abbiamo appena speso 80 euro per: un giro in taxi dal centro alla periferia; conoscere due indigeni; un simpatico, ma troppo breve, se vogliamo, spettacolo folcloristico locale!

Abbiamo in compenso guadagnato una lunga passeggiata rigenerante per ritornare in centro, durante la quale ripercorrere i dettagli della fregatura appena presa. A me brucia per i soldi, a Ezio perché si vergogna di ammettere che un napoletano si è fatto fregare da un romeno!

Arrivati quasi in centro cambiamo 30 euro ad un cambio che sembra una banca, mi chiedono la carta d’identità e mi danno addirittura la ricevuta! Appena fuori dal banco proviamo anche ad usare il nostro bancomat, ed incredibile, funziona! Abbiamo all’attivo 200 Ron (Lei) che ci basteranno per due giorni!!!

Incontriamo Florin e Georgie nel posto e all’ora previsti, ma già piove, e finiremo con fermarci in un bar a prendere una birra e a conoscerci meglio. Siamo nell’ Unirea Center, il centro commerciale di Piazza Uniri, che avevamo visitato prima di incontrarli. Ci propone una gita al Museo Saturi, dove lavora sua madre, e dove può farci entrare gratis l’indomani.

Incredibili, questi Romeni, proprio come gli italiani, chi prende e chi da. Benvenuti in Romania!

Dopo aver riposato un po’ in albergo, decidiamo che non possiamo certo farci demoralizzare per come è cominciata la giornata, e allora decidiamo di andare a cena al Pui de Urs, dove ha consigliato Florin il primo giorno. Non è facile. Visto che, adesso con ragione, continuiamo a rifiutarci di prendere un taxi, arriviamo ad una metro lontana dalla destinazione, facciamo avanti e indietro un bel po’, in modo che si faccia anche fame, prima di arrivare al ristorante. Non ci posso credere che per quanto sia famoso (a chi chiedevamo indicazioni sembrava essere ben noto) questo posto sia così mal dislocato: periferia, in mezzo a delle casette circondate da cani randagi…comunque ci accolgono bene, il posto è piccolo, ma emana già un profumo rassicurante.

Purtroppo, il pezzo forte del menù consigliato dal nostro Florin, i reni, oggi non è disponibile, e quindi ordiniamo: Ciorba de văcută (zuppa di carne); ciorba de pui “’a la grec” (zuppa di pollo alla greca); smantana (una crema di formaggio da aggiungere alla zuppa); ardei iute (peperoncino fresco); pomana porcului (maiale alla griglia con vino); escalop din fil de urs cu ciuperci (scaloppina di filetto di orso con funghi); salata de telina cu maionesa (insalata di “telina” che non sappiamo assolutamente che cos’è, crediamo sia una rapa, ma è talmente gustosa da ricordare il cocco o la noce); cartoni prăjiti (patate fritte); garnitură assortată (verdura mista rimandata indietro per intero, sembrava quella della mensa!), tutto innaffiato da Busuioaca de Bohotin, un vino rosè tipico dolce.

Abbiamo speso 90 Lei, che in euro sono 25! Ma anche se soddisfatti non possiamo andarcene senza aver chiesto al nostro cameriere, l’unico che parlava inglese, di mostrarci che cos’era la “telina” che avevamo così tanto gradito. Se ci fossimo basati sulla pessima traduzione fatta in inglese “celery”, tornati in Italia ci saremmo convinti che si trattasse di sedano. Invece era una grossa rapa bianca, che il cameriere ci spacca e lascia annusare, e ammiccante sottolinea che è ottima per l’uomo, tipo il ginseng!.

Facciamo in tempo a tornare in metropolitana, che per noi è più sicura di un taxi.

Giorno 3: 3 maggio

La mama è sempre La Mama

Questa volta l’appuntamento con la nostra guida è di mattina. Oggi è sabato e non deve consegnare il pane. Ci vediamo alle 11 in piazza Unirii, crediamo piazza dell’Unità. Alla fine, sarà il posto nel quale saremo stati più volte a Bucarest, il centro della vita commerciale cittadina: una piazza enorme, al centro una fontana, intorno alla quale passa una strada asfaltata, intorno alla strada altre enormi vasche, intorno alle vasche dal fondo a mosaico dei giardini con panchine, intorno ai giardini il marciapiede, e poi di nuovo strade, a scorrimento veloce, che portano in tutte le direzioni. Qui il centro commerciale più grande, quello dove stiamo stati ieri; dove scopriamo che come ci ha detto Florin qui la vita, a parte il cibo, è cara come a Firenze, solo che prendono un terzo del nostro stipendio.

I nostri amici sono puntuali come al solito, non hanno ombrello anche se piove, ma una felpa con cappuccio, striminzita, a parer mio, per l’aria che tira, ma la fibra dell’est non si è ancora rammollita come la nostra, pare.

Florin ci chiede se nonostante il tempo vogliamo ancora andare al museo, io insisto, per capire solo dopo che si tratta di un museo all’aperto. Arriviamo in un parco grandissimo, ma la pioggia scorre a catinelle, abbiamo un solo ombrello, ed io un cappello impermeabile che fa di me una perfetta turista. Ma mi sento al sicuro perché c’è Florin con noi, e nessuno oserà rivolgerci la parola.

Arrivati all’ingresso del museo, Florin fa una telefonata a sua madre. Prima che qualcuno ci veda ci scambiamo un po’ di oggetti: Georgie prende il mio cappello e Florin prende lo zaino a Stefano, in questo modo anche se loro sembrano turisti parlano romeno e nessuno farà storie per farci entrare.

Una volta dentro capisco definitivamente perché la pioggia poteva essere un problema. Siamo praticamente dentro un antico villaggio, le strade sono in terra battuta, e le case piccole e di creta. È delizioso, emana un aura di autenticità, e sono molto grata a Florin per averci portato, non ci saremmo certo venuti se non fosse stato per lui! Scopro leggendo sulle mie stampe che si tratta del museo outdoor più grande d’Europa, il Muzeul Satului copre 30 acri intorno al lago Herastrau (nel quale si pescano le famose carpe!), è costituito da circa 50 edifici che rappresentano la storia dell’architettura rurale di tutta la Romania; gli edifici sono stati accuratamente smontati, trasportati sull’acqua e rimontati nel museo, ricostruendo fedelmente la struttura di un antico villaggio.

Davanti alle piccole e deliziose case, stanno delle donne di guardia, tra cui la madre di Florin. Una signora molto pacata e sorridente. Tramite Florin scopriamo che l’altra figlia, Claudia, ha una idea idilliaca dell’Italia e vorrebbe venirci a lavorare, senza neanche finire la scuola. Noi raccontiamo a Florin tutte le brutte esperienze nelle quali potrebbe rischiare di incappare Claudia se desse seguito al suo progetto, ma non c’è bisogno. Come già abbiamo avuto occasione di notare, Florin, anche se è giovane, sa benissimo che l’idea di sua sorella è una fesseria, e che in Italia si viene per andare in vacanza, e basta. Inoltre, aggiunge, i soldi non sono poi così importanti, basta lavorare per averne abbastanza per vivere e stare bene anche in Romania.

Finita la visita, e completamente inzaccherati di fango, torniamo a Piazza Unirii, dove offriamo il pranzo ai nostri amici al Kentuchy Fried Chicken, dove io non ero mai stata prima.

Ci salutiamo subito dopo. È ancora presto, e decido di separarmi da Ezio, per approfittare del cambio e farmi tagliare i capelli in un salone locale, per un costo non lontanamente paragonabile a quello che pago a Firenze. Ho occasione qui di scambiare delle chiacchiere con il giovanissimo parrucchiere e la brava manicure, i quali si scusano da parte dei romeni che ci hanno truffato, e ci tengono a sottolineare che Bucarest è una città tranquilla: nessuno mi salterà al collo, o mi deruberà, tanto per gradire, a meno che non capisce che sono turista…ehm. Non mi sento proprio tranquilla a tornare in albergo da sola, e nemmeno Stefano, che nonostante si stia godendo il suo sport preferito, mi manda un messaggino.

Lo trovo comunque sbragato a guardare quel gioco del biliardo, come si chiama, …..Sniker, snooker.

Dopo essermi tolta i pantaloni ancora pieni di fango, e fatta una grandiosa doccia nel nostro fantastico bagno, ci vestiamo intenzionati a visitare il ristorante La Mama, di cui ci continuano a parlar bene, anche Angela, la manicure, me lo ha consigliato.

Sicuramente ce n’è uno alla fermata della metro Stefan cel Mare, ma prima bisogna indovinare il treno giusto da prendere alla nostra stazione di partenza. Infatti sbagliamo treno e siamo costretti a tornare indietro. Abbiamo il tempo di formulare alcune considerazioni: qui ci sono un sacco di negozi di fiori, tenuti principalmente da zingari: la voce che dice le fermate della metropolitana è uguale in tutto il mondo; qui la gente è triste per le condizioni che vive, ma ha anche i lineamenti tristi, e cioè gli angoli della bocca all’ingiù. Siamo di nuovo al punto di partenza, e ci decidiamo a chiedere. È una ragazza vestita bene, che ci accompagna a prendere il treno, e ci ribadisce che La Mama è un buon ristorante, visto che la materia prima la prende nel posto dove lavora lei! Ma quanto è piccola Bucarest, eh!

Arrivati a Stefan cel Mare, che prende il nome da Stefano il Grande, chiamato così perché era piccolo di statura, usciti dalla metro chiediamo dove è La Mama. È proprio di fronte a noi, ma è tutto spento, il ristorante sembra chiuso! No! Avviciniamoci, non me ne voglio andare senza aver fatto almeno una foto al famoso La Mama. Il luogo in cui ci troviamo è altrettanto ambiguo come il Pui de Urs. Periferia, fili della corrente a terra e grovigli ai pali, strada quasi buia, ma almeno è aperto, per fortuna. Entrando dentro mi fa davvero un’ottima impressione, perché mi aspettavo qualcosa dall’apparenza molto meno autentica e più patinata ad uso e consumo dei turisti. Invece, accoglie gente del posto, e i camerieri parlano poco inglese.

Io voglio sicuramente un’altra Ciorba, qui le zuppe sono ricchissime e nutrienti, quella allo stile campagnolo che prendo io oltre alle patate contiene addirittura delle costolette di maiale! Ezio prende invece una scaloppina di pollo con contorno di polenta.

Il ritorno in albergo è ovviamente più semplice dell’andata. È abbastanza tardi rispetto al nostro solito, e penso alle parole di Angela “nobody will jump on your neck, never think so…” mentre torniamo a piedi dalla metropolitana all’albergo, e ogni fruscio mi fa saltare, ma che cagasotto…

Giorno 4: 4 maggio

Lost in Bucarest

Questa mattina, dopo la colazione, la passione sportiva di SEzio ci trattiene in albergo fino alle 11, per vedere come va a finire il moto mondiale, dove naturalmente vince Valentino Rossi.

Siamo diretti alla Piazza della Rivoluzione, dove fu deposto Chausescu. Da lì, raggiungeremo il museo Nazionale di Arte Romena, dove è contenuta la più vasta collezione di opere romene del mondo.

Dall’arte sacra dedicata a vescovi ricchi come principi, all’arte borghese che ritrae cancellieri e mogli di comandanti militari, all’arte moderna come la conosciamo noi, che ripercorre le tappe dell’impressionismo, espressionismo, e cubismo come in tutta Europa. Da segnalare in particolare due quadri, dal titolo “Settignano” e “Fiesole”, due paesi della provincia di Firenze, dove gli autori evidentemente erano stati.

Indimenticabile invece il quadro “Spionul” di Nicolae Grigorescu, considerato il fondatore della pittura romena moderna. Un cavallo lanciato in corsa, con lo sguardo al fruitore del quadro, che in quel momento si sente la vera spia, ad aver colto quel lampo negli occhi del cavallo, e il bagliore dell’alba sorgere attraverso una densa pennellata bianca in mezzo alla tela.

Dopo aver camminato nel museo, arriva immancabile il momento in cui SEzio cede al suo spirito zingaro e decide di perdersi nella città. Camminiamo senza sosta per due ore prima che lui ammetta che ci siamo inequivocabilmente allontanati dal centro. Io leggo addirittura il nome della strada “stefan cel Mare” dove eravamo stati la sera prima a cena, che da mappa a piedi avevamo considerato una distanza insormontabile. Mi lascia su una panchina con i piedi doloranti in cerca di una metropolitana in zona, ma alla fine, controvoglia, l’unico modo per tornare in centro è un taxi.

Abbiamo appuntamento con Florin, e ci restano 15 minuti per visitare la Patriarhia Romana, il centro del culto cristiano ortodosso romeno, situata su una collina che domina la città, vicino a Uniri Plaza. Ma il tempo è così poco e siamo così stanchi che ci sembra che sia chiusa, e non stiamo nemmeno tanto a cercare un ingresso, ci accontentiamo di fare capolino dentro una cappella dove si sta celebrando messa.

Florin e Georgi non tardano ad arrivare all’appuntamento, e insieme andiamo di nuovo ad un piano del centro commerciale solito, a bere qualcosa.

Ci mostrano sui loro avanzatissimi telefonini una serie di foto, e di una gita che hanno fatto di recente in montagna. Alcune di esse hanno come sfondo il Pui de Urs e il bar dove siamo adesso, in pratica posti a loro familiari, che adesso sono diventati un collegamento anche con noi.

Il tempo è trascorso velocemente, e Florin domani si sveglia prima dell’alba per lavorare. Così ci dice che gli sembra incredibile questo fatto che siamo qui a bere una birra insieme, era poco tempo fa che gli abbiamo chiesto cosa arrostivano sulle griglie davanti alla Casa del Popolo, e adesso siamo amici. È davvero triste e dispiaciuto di salutarci, per lui siamo stati un evento e una piacevole interruzione della monotonia. Non sa se verrà mai in Italia a trovarci, e ha paura che quando troverà il modo ci saremo dimenticati di lui…che tenerezza, non sa davvero quanto può essere lunga la memoria di un grafomane…

Compriamo una cena take-away e torniamo in albergo, anche noi dobbiamo fare la levataccia. A riprova dalle menzogne che ci ha raccontato il ragazzo che ci ha tratto in inganno, domani raggiungeremo l’aeroporto con la macchina dell’albergo, più sicuro, e con prezzo onesto stabilito in anticipo.

Ci soffermiamo a vedere questo sport di biliardo, che ha tanto intrigato Stefano in questi 3 giorni. Si chiama snooker e si svolge su un tavolo più grande di quelli normalmente in uso, si adoperano comunque una stecca da biliardo e numerose biglie, precisamente 15 rosse, 6 di vari colori ed 1 bianca. Lo scopo del gioco è riuscire ad infilare nelle buche tutte le biglie presenti sul tavolo, seguendo delle regole ben precise.

Stiamo assistendo al campionato del mondo, 30 partite (lunghissime) di seguito, giocate tra Ali Carter e Ronnie ‘O Sullivan, che sembra il vero favorito. Comincio ad appassionarmi anch’io quando Ezio mi dice che sono in palio 415.000 euro. Ma anche se ‘O Sullivan è in vantaggio, siamo solo alle prime partite, e cediamo al sonno… (scopriremo solo in Italia che a vincere è stato lui, per la terza volta consecutiva, un vero prodigio!)

Levataccia e macchina puntale. Nell’aeroporto spendiamo gli ultimi Lei per prendere un cappuccino e una spremuta. A Roma ritroviamo la nostra macchina ad aspettarci, uguale a come l’avevamo lasciata.

Anche il tempo è lo stesso che in Romania. Forse noi siamo un po’ diversi.

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