sabato 26 giugno 2010

UN TRENO SENZA DESTINO


Era triste, non poteva negarlo. Aveva tagliato i ponti con il passato eppure aveva ricordi lacrimosi che le rigavano il presente. Aveva tutto quel tempo per pensare, per scavare nel sud di se stessa con le mani nude e con le unghie una volta tanto perfette, di non lavare piatti di non bagnarsi nel bucato. Faceva tutto sua madre, senza chiedere nulla, con quel sacro rispetto della sua ultima indolenza. Dormiva tanto, si svegliava e faceva colazione come un automa seguendo il programma americano di cleasing intestinale, aspettava l'ora di pranzo leggendo storia contemporanea e affogando i pensieri nel mare di internet. Il segnale rosso di un messaggio su fb a volte era il momento piu emozionante della giornata, anche se poteva essere il solito aperitivo al guaranà si entusiasmava lo stesso, e ci leggeva, ma niente. E tra quei messaggi ancora quello del suo passato, al quale a suo modo rispondeva tutti i giorni, ripassando una litania riguardo a un calcio dato a un vaso che non si era rotto: il calcio l'aveva dato lui, il vaso era lei, e dal punto di vista etico restava il calcio, come un calco di gesso, dal punto di vista pratico restava il vaso senza nemmeno un graffio, con una nuova lingua, un nuovo lavoro, e un nuovo amore.
Bastava una pausa nelle sue contorsioni per il mondo e tutto il mondo interiore bussava per farsi ascoltare, come un bambino rinchiuso nel sottosuolo dall'orco della frenesia. Nella stasi sentiva il ristagno di tanto navigare, ascoltava il rumore delle assi putrefatte da troppo stare in mare. Non sapeva quale era il suo male, però sentiva male. Come se ci fosse stato il cuore gonfio e le lacrime pronte ad affiorare ad ogni piccola confessione, a se stessa o ad un altro. Non aveva difficoltà a parlare, non aveva tabu, non aveva segreti, a meno che non fossero segreti anche per se stessa, cose che non aveva la forza di ammettere.
Per esempio che aveva perso la speranza, che da quando il suo matrimonio era fallito il mondo si era sgretolato come una galletta di riso. Che nessuno intorno a lei si amava, tutto sembrava poter finire come era finito il suo. La disperazione delle persone era così forte che bisognava rifugiarsi in un mondo anaffettivo per potersi difendere da tanto dolore, oppure soccombere come stava facendo lei. E anche l'amore che le veniva donato le sembrava lontano, troppo perfetto per essere reale, e si inventava delle prove da fargli superare.
Lontano dai suoi occhi felici la gioia la abbandonava, come un fiore senza il sole non aveva ragione di aprirsi, di uscire, di lavarsi i capelli. Portava con sè una piccola agenda, la riempiva di appuntamenti inutili e di appunti, scandendo le sue giornate vuote con impegni banali che acquistavano senso del dovere perchè scritti lì dentro. E il tempo scorreva come un treno ad alta velocità di cui conosceva la destinazione ma non il destino, vi si era seduta dentro a leggere e a contare e aveva voglia di arrivare ma non di fermarsi. Quante cose di sè si stava perdendo in quella stazione in cui si era costretta da sola, voleva capire ed ascoltare la sua carne vecchia, i suoi odori nuovi, i suoi acciacchi. Era rimasta tutto il giorno in tuta nell'attesa di trovare l'energia per andare a correre, e poi era venuto a piovere per fortuna. Se si aveva energia solo con l'amore voleva dire che si amava davvero o che si aveva bisogno di quella spinta solo per sopravvivere?

2 commenti:

Diapason ha detto...

Ci sono anche io con te, laggiù.
Il tuo sud, amica mia, è la luna che oggi mi è uscita come presente nel tiraggio. Ma ricordati sempre che il destino è il mondo nel futuro dell'ultimo tuo tiraggio qui a Roma e il sole che mi è uscito nel mio. Bisogna conoscersi davvero bene per non aver paura di sbagliare strada, è l'arte dell'abbandonarsi a qualcosa che, magari e forse e probabilmente e sicuramente, non sarà perfetto ma che perlomeno ci somiglierà. Che pace.

Diapason ha detto...

Ci sono anche io con te, laggiù.
Il tuo sud, amica mia, è la luna che oggi mi è uscita come presente nel tiraggio. Ma ricordati sempre che il destino è il mondo nel futuro dell'ultimo tuo tiraggio qui a Roma e il sole che è uscito oggi nel mio. Bisogna conoscersi davvero bene per non aver paura di sbagliare strada, è l'arte dell'abbandonarsi a qualcosa che, magari e forse e probabilmente e sicuramente, non sarà perfetto ma che perlomeno ci somiglierà. Che pace.